Dal 24 maggio 1915 al Web, dall’ultimo atto Risorgimentale al senso di responsabilità
Il 24 maggio 1915, l’Italia entrava in guerra contro gli Imperi centrali, gettandosi nella Prima Guerra Mondiale, dieci mesi dopo l’inizio delle ostilità in Europa.
Come sempre accade il nostro Paese entro in guerra diviso tra interventisti e neutralisti, ma diversamente dallo spirito odierno – scesa in guerra – tutta l’Italia si strinse ai suoi soldati che difesero i confini sulle sponde del Piave e dell’Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, di Asiago e di Passo Buole, di Caporetto e di Vittorio Veneto.
La Prima Guerra Mondiale fu un tragico massacro: coinvolse 27 paesi, costò 10 milioni di morti, 20 milioni di feriti, enormi distruzioni; l’Italia pagò con il sacrificio di 700 mila morti, rinforzò i confini ed ottenne le città di Trento e Trieste.
Le battaglie furono svolte nelle trincee, le truppe lottarono impantanate nel fango, furono impiegate nuove armi di distruzione come: aerei, carri armati, mitragliatrici, gas tossici, come il fosgene e l’iprite.
Fu, come definita da alcuni storici, la prima guerra moderna.
Il 26 gennaio 1917 a Santa Maria la Longa, una località in provincia di Udine, Giuseppe Ungaretti, reduce dai combattimenti sulla Carnia, scrisse la nota poesia “Mattina” forse il più bell’inno alla Pace; una poesia che alle scuole elementari mi fece provare i primi brividi di emozione tanto era forte il coinvolgimento che procurava.
Oggi, nell’era di Internet, abbiamo dimenticato quelle atrocità, godiamo degli strumenti della condivisione offerti dai social network e più in generale dal Web, viviamo apparentemente in Pace per poi essere coinvolti dalle ridicole battaglie politiche per l’elezioni amministrative.
Assistiamo ad attacchi mediatici: feroci, diffamanti e privi di ogni civiltà democratica.
Ci si chiede se rispettiamo la memoria di quei giovani morti, caduti nel fango, nel gelo della montagna e, nell’ultimo loro sguardo, l’immagine di appartenenza ad una terra chiamata Italia.
Ho visitato il Sacrario del Redipuglia, in cui sono conservate le ossa di 100.000 caduti e tra queste anche quelle di Domenico Melica, classe 1989, 139° Reggimento III^ Armata del Duca d’Aosta; dovete sapere che uscendo da quel luogo sacro ci si imbatte in una lapide in cui potete leggere: “O Viventi che uscite, se non vi sentite più sereno e più gagliardo l’animo, Voi sarete venuti qui invano”.
Da quel giorno il mio animo è più sereno, più gagliardo, più responsabile.