Siamo in guerra, la stiamo perdendo e crediamo di combatterla
La guerra, da sempre, accompagna la storia dell’Uomo. I motivi scatenanti sono sociali, politici ed economici e sempre finalizzati: ad ampliare il territorio, aumentare il commercio, ottenere forza lavoro ad un costo più basso, ottenere ricchezze naturali.
Oggi un moderno conflitto è più subdolo, più viscido, non deve generare morti e feriti per ottenere le ricchezze altrui deve solo essere capace di utilizzare l’arma globale più potente che sposti le ricchezze da una nazione all’altra: “la finanza”.
Su questo principio nasce la più grande crisi economica e finanziaria dell’era globalizzata diventando così la scacchiera del confronto.
Su questa scacchiera i contendenti conquistano e annettono nel proprio territorio le aziende avversarie, acquisiscono quote azionarie di istituti di credito, si costruiscono crediti che terranno l’avversario sotto scacco per sempre mentre quest’ultimo è costretto a svendere gli immobili, a privatizzare i servizi, a contrastare una perenne recessione, ad aumentare le tasse ai cittadini.
Oggi siamo in guerra.
L’Italia perde aziende storiche iniziando dalla moda – vera e propria forza economica degli anni ottanta – al siderurgico per proseguire passando dalla grande distribuzione, all’elettronica, ai trasporti, alle telecomunicazioni.
Aumentiamo il debito pubblico, sottoscriviamo cambiali annuali per venti miliardi di euro, non riusciamo a trovare soluzioni per diminuire il tasso della disoccupazione – in special modo quella giovanile – non riusciamo ad unire il Paese intorno a soluzioni migliorative.
Possiamo trovare una ragione in tutto questo?
The National Intelligence Council, il centro per gli studi strategici che funge da advisor per l’amministrazione americana e per il capo dei servizi segreti Usa, ha pubblicato nel 2008 un rapporto che afferma che il PIL dell’Europa nel 2025 sarà il 9% di quello mondiale. Negli anni settanta era del 44%.
I 28 Stati membri dell’Unione europea dovranno, per sopravvivere, dividersi nel 2025 questo 9%, di conseguenza oggi viviamo una guerra non dichiarata per acquisire maggiori provviste finanziarie, per fortificare l’economia, per affrontare al meglio l’inevitabile crisi che colpirà l’intera Europa.
L’Italia di tutto questo sembra non accorgersene, non difendersi, non guardare al futuro, non compiere alcuna operazione risolutoria.
Il Popolo italiano è stato anestetizzato dai media: più televisione, più internet, più libertà del nulla, più apparente democrazia che non ti fa avere giustizia e non ti guarisce se ricorri alla sanità; siamo un Popolo che urla sulle tastiere e si divincola come un toro mentre viene portato al macello, ma inutilmente perché ormai il destino è segnato.
Ieri l’agenzia Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Italia a ‘BBB’ da ‘BBB+’, l’outlook e’ negativo, la Nazione non cresce anzi peggiora. Siamo nello stesso gruppo con Marocco e Bulgaria.
La conseguenza diretta è che aumenteranno i tassi di interesse, il debito pubblico e non dite che il baratro è vicino perché ho il timore che ormai ci siamo caduti.
Possiamo ancora far qualcosa ma è questione di settimane e non più di mesi.
Possiamo intervenire in tre modi: arrenderci alle potenze straniere prima che si diventi la nuova Somalia, il nuovo Guatemala o la Bolivia d’Europa; possiamo acquistare tutti insieme il nostro debito pubblico e liberarci dai debiti e dai mostruosi tassi di interesse, possiamo scendere in piazza per azzerare e ricostruire il Paese.
Ok, non avevo considerato la quarta ipotesi.
Si resta attaccati ai social network sino a quando c’è la corrente elettrica per pubblicare un gattino, le gambe in spiaggia, la foto del giocatore o del cantante preferito, per affermare che siamo di sinistra o di destra e che gli altri puzzano, possiamo continuare a fare tutto ciò che normalmente facciamo per poi, quando tutto sarà finito, aprire le finestre e vedere un mondo che non c’è più.
L’accendiamo?