Il linguaggio del corpo di Berlusconi, sconfitto dal tempo e dal suo equipaggio
Chiariamo un punto, non state per leggere un articolo di politica.
Oggi è stata una giornata importante, annunciata da giorni di polemiche e colpi di scena, da prese di posizione, da confronti accesi, da spaccature che hanno reso il panorama politico tanto interessante, quanto inconcludente.
Questa mattina mi sono divertito a studiare “il linguaggio del corpo” dei senatori intervenuti nel dibattito in aula, che ha introdotto la votazione sulla fiducia al Governo.
Il linguaggio del corpo, in breve, fa parte della comunicazione non verbale in cui si interpretano, ai fini dell’interazione sociale, postura, gesti, movimenti, espressioni e mimica che accompagnano le parole e di conseguenze le volontà rappresentate.
Spesso, vedendo un senatore esporre la sua tesi, ho tolto l’audio del video e guardando il suo corpo riuscivo a comprendere la dichiarazione finale sull’intenzione di voto.
Imparo guardando gli altri e confesso che ho seguito i lavori nell’attesa che arrivasse il turno del Senatore Silvio Berlusconi, riconosciuto da tutti, come eccelso comunicatore.
Nei primi venti secondi – sono rimasto impressionato – il suo corpo ha comunicato un grande disagio: prima la mano sinistra in tasca, poi le mani in avanti strette per evitare il tremore, il viso teso ed infine una maschera di tensione hanno fatto presagire tutta la sofferenza per “un leone” ormai stanco di combattere.
Torno con la memoria indietro, ricordo il messaggio del 18 settembre, in cui l’affermazione di scendere e proseguire una battaglia contro “tutto e tutti” non collideva con l’età avanzata, da una figura appesantita dal tempo, da una gestualità imposta dalla volontà ma non dalla coscienza.
Oggi il Senatore irriverente, sprezzante, goliardico, sfacciato, impertinente di mille battaglie mi ha dato un filo di tristezza. Al termine del discorso si è commosso, dichiarando la sua resa non agli avversari ma al tempo.
Il tempo modifica le motivazioni e immaginate quanto possa esser stato duro ed umiliante pronunciare “a braccio” il discorso sia guardando gli On.li Letta e Alfano: più giovani, più coesi con la maggioranza e con un futuro davanti, sia davanti al suo equipaggio scelto in campagna elettorale ed ora parzialmente ammutinato.
L’uomo politico ha percepito la sconfitta, forse la più dura di sempre.
Mi è tornato in mente il discorso dell’On.le Bettino Craxi del 1992, anche in quella occasione il politico sapeva di aver perso e che il branco – da lui stesso creato – lo avrebbe sbranato, tuttavia con fierezza dovuta anche all’età, affrontò il voto. Affrontò i suoi avversari con audacia e dignità politica, accusò i suoi “colleghi” di collusione con il sistema corrotto del finanziamento occulto dei partiti, poi sparì dalla scena parlamentare.
Due esempi di sconfitte, due modi diversi di affrontare il discorso finale, forse quello più difficile.
Se i due discorsi li vedete senza audio, comprenderete il senso di questa mia riflessione, sul linguaggio del corpo.