Nell’ art 3 della Costituzione i termini razza e cittadini meritano di essere sostituiti
Qualche giorno fa, le Commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera dei Deputati hanno approvato all’unanimità l’emendamento che prevede che nei documenti della Pubblica amministrazione la parola “razza” sia sostituita da “nazionalità”.
Inizia così l’iter normativo al fine di eliminare la parola “razza” da tutti gli atti e documenti della Pubblica amministrazione, in osservanza anche verso il più acclarato concetto scientifico che afferma che geneticamente non vi è differenza nella specie umana tanto da far sussistere il riferimento e la distinzione tra razze.
A questo punto, in futuro non resta che intervenire sull’articolo 3 della Costituzione italiana che stabilisce:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
In Costituzione, quindi nell’articolo 3, con il termine “razza” ci si riferisce a una distinzione tra gli individui basata su caratteristiche fisiche ereditate, come il colore della pelle, la struttura del capello, o altre caratteristiche che sono spesso associate a determinati gruppi geografici o etnici. In pratica, l’uso del termine “razza” in questo contesto significa che la legge italiana non può discriminare le persone sulla base di tali caratteristiche.
Ma il termine razza è attualizzato nella società moderna?
Sicuramente il termine merita la cancellazione nella nostra Costituzione, magari preferendo le frase “senza distinzione geografica, economica..”
A questo punto sempre all’art. 3 sarebbe opportuno corretto sostituire il termine “cittadini” con “persone”, proviamo a spiegarne il motivo.
Il termine “cittadino” può essere definito come una persona che è riconosciuta giuridicamente come membro di un paese o di una Nazione, con diritti e doveri specifici in base alle leggi di quel luogo ben definito.
La cittadinanza può essere acquisita per nascita, se una persona nasce in un determinato paese (jus soli) o se uno o entrambi i suoi genitori sono cittadini di quel paese (jus sanguinis). La cittadinanza può anche essere acquisita per naturalizzazione, che è un processo legale attraverso cui un individuo che non è nato nel paese ospitante può diventare cittadino di quel paese dopo aver risieduto per un certo periodo di tempo e aver soddisfatto altri requisiti giuridici.
Perchè il termine “cittadini” potrebbe essere sostituito dal più generico termine “persone”, lo vediamo con un esempio accademico.
Il turista americano viene in Italia, non è cittadino italiano eppure merita le garanzie costituzionali dell’art. 3 Cost. pur non essendo “cittadino” ma persona. Il migrante che arriva con il barcone non è cittadino italiano, non la lo status giuridico e spesso come accade in quanto proveniente da zone di guerra non è registrato nella sua Nazione, eppure ha – giustamente – le garanzie costituzionali di cui all’art. 3 Cost. in quanto “persona”.
Se entrambe le persone hanno status giuridici estranei alla definizione di “cittadino italiano” ma hanno in comune l’essere “persone” sembra più logico “sic et simpliciter” inquadrarle nel più moderno termine “persone” o nel più generico “chiunque” così come avviene in ambito penale.
Possiamo farlo?
Proviamoci.