Wikileaks, l’etica hacker e l’ignoranza deviante
Quando i giornalisti parlano di Internet, oggi ancor di più per il fenomeno Wikileaks, da sempre cadono nell’equivoco di accostare il termine hacker con termine di criminale informatico o peggio di cracker, ovvero di colui che compie azioni distruttive sul web.
Sono anni che puntualmente si cerca di spiegare ai giornalisti la differenza, ma non è servito a nulla, quindi è inutile continuare a parlare ai muri, mi arrendo, su questa pagina di appunti lascio un messaggio nella speranza che magari il buon motore di ricerca potrà fornire qualche dato utile a chi vorrà correttamente informarsi.
Pekka Himanem nel suo splendido testo: “Etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione” in Italia per i “Saggi Feltrinelli” 2001 descrive, come solo lui Richard Stalmann, Linus Torvalds, Manuell Castells possono permettersi di farlo – avendo loro dato vita al movimento hacker presso l’University of Berkeley (California) – il significato reale dell’ ”essere haker”.
Una sintesi evidenzia che gli hacker si sono sempre caratterizzati per l’impegno appassionato e creativo, senza limiti di tempo e senza risparmio di capacità intellettuali.
Il loro impegno, non strettamente legato all’ambito tecnologico, è definito da alcuni monastico e poggia sui principi: della determinazione, dell’ottimizzazione, della flessibilità della mente, della stabilità nell’obiettivo, della laboriosità e infine l’ultimo, la misurabilità del risultato.
Grazie all’attività degli hacker, in cui vige la regola che “l’unico limite è solo nella nostra immaginazione”, oggi abbiamo computer più potenti e sicuri, sistemi operativi non proprietari, diffusione e condivisione della cultura, connettività e protocolli più veloci e compressi.
Se quanto descritto è la base dell’etica hacker, come possiamo associarla ad azioni criminose?
In questi giorni di abuso di termini e di condotte anetiche, dovute alla vicenda Wikileaks, occorre porre una riflessione sensata e coraggiosa sul vivere in Internet e sui diritti sottesi, una riflessione che deve tener conto dei valori costitutivi della Rete e sulle prospettive sociali e politiche che adotteremo nel prossimo futuro.
Questo lo dobbiamo, non per Noi stessi, ma per il futuro delle prossime generazioni.