Ho incontrato Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace 2011
Leymah Gbowee è una pacifista liberiana, ora quarantenne, che sin da giovane organizzò e promosse un movimento che condusse alla fine della guerra civile in Liberia. Il movimento chiamato “Women of Liberia Mass Action for Peace” riuscì a unire le donne cristiane e musulmane nella lotta non violenta, simboleggiata dagli abiti bianchi indossati dalle attiviste.
Le donne in bianco organizzarono incontri di preghiera e manifestazioni pacifiste per fare pressione sulle parti in conflitto e spingere i negoziatori a giungere ad una soluzione di pace.
Attualmente Madame Gbowee è direttore esecutivo della Women Peace and Security Network Africa, associazione che si batte per dare appoggio alle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, partecipa alla Commissione per la verità e la riconciliazione in Nigeria ed ha allargato a tutta l’Africa occidentale il network del ‘Women in Peacebuilding Program’.
Lo scorso anno, Leymah Gbowee ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per il suo impegno in favore sia della “battaglia non violenta per la salvezza delle donne e per i diritti delle donne a partecipare alla costruzione della pace”; la stessa Madame Gbowee ha più volte affermato che: “Non possiamo raggiungere democrazia e pace durevole nel mondo se le donne non raggiungono le stesse opportunità degli uomini per influenzare gli sviluppi di tutti i livelli della società”.
Ho avuto il piacere di ascoltarla a Roma, presso la Camera dei Deputati, sul tema “La dimensione umana della pace – Verso una cultura politica di perdono e di riconciliazione”.
Un tema complesso in cui per la prima volta ho compreso l’importanza di quel difficile processo di “pacificazione” che deve necessariamente seguire il momento in cui viene raggiunta la pace. In special modo il processo di pacificazione è fondamentale nei Paesi in cui vi è stato un conflitto interno, in cui gli stessi fratelli di un popolo si sono spaccati e confrontati in modo violento.
Ho pensato all’Italia del dopoguerra, al mio Paese diviso sino agli anni ottanta in cui il terrorismo e le stragi di Stato sono state probabilmente l’onda lunga del secondo conflitto mondiale.
Oggi le esigenze sono mutate, tuttavia occorre lavorare per creare un processo di pacificazione tra il popolo e la politica, tra le generazioni ora in conflitto per mantenere un posto di lavoro, uno standard di vita dignitoso.
Occorre come sempre una buona politica che non semini l’odio, alimentando i conflitti e le divisioni, ma la ragione e il perdono.