Viviamo con la politica una #fictiondigitale
La politica ormai è l’argomento più trend di un Paese allo sbando, l’assenza di programmi credibili ma la ricchezza di agende e accesi confronti dialettici, rende la partecipazione al voto sempre più debole aumentando di fatto l’astensionismo.
Sul nastro di partenza troviamo le coalizioni tradizionali formate dai politici di conclamata professionalità; nuovi gruppi politici nati su esigenze dell’ultimo momento, movimenti con idee populiste e rivoluzionarie; gruppi di opportunità e di interesse.
Le parole d’ordine sono le stesse: merito, competenza e trasparenza mentre l’esigenza più sentita è “meno tasse e più ricchezza per tutti” oltre all’immancabile resa dei conti tra poteri politici ed economici.
In tutto questo tempo cresce la disoccupazione, cresce il costo della vita, diminuisce la capacità economica degli italiani, si estinguono, poco alla volta, i risparmi accumulati in una vita.
D’altra parte la “politica nuova” deve correre la tradizionale corsa elettorale che si concluderà a febbraio con la conta dei voti e la spartizione degli scranni alla Camera e al Senato e poco importa se a votare ci andranno in pochi.
Nella corsa elettorale un ruolo fondamentale è affidato al web in cui, anche i candidati meno giovani, si improvvisano “blogger o sorridenti chattaioli” dell’ultima ora per dare un’immagine vicina ai nativi digitali, per cavalcare l’onda dell’innovazione, per acclarare la propria leadership senza escludere alcun mezzo comunicativo.
L’impressione da “abitante digitale” di Internet, ricordo sesto continente più popolato del pianeta, è di vivere in una fiction digitale in cui farà anche piacere che un candidato si confronti sui social network ma genera anche un po’ di tristezza il vedere l’incapacità nel gestire tempi e modalità a 140 caratteri tanto da far sembrare tutta l’operazione improvvisata e dettata solo da esigenze elettorali.
In effetti questa competizione elettorale sul web sembra una fiction digitale, in cui si rincorre un voto di simpatia o di appartenenza ideologica piuttosto che ad un voto di rinnovamento e di innovazione del pensiero politico.
Temo sotto il profilo comunicativo, ma solo per un legame alla storia giuridica di questo Paese, gli slogan come “rivoluzione”, “siamo in guerra” o semplicemente violenti perché, seppur motivati, possono distogliere l’attenzione dalla finalità principale comune, ossia migliorare tutti insieme e responsabilmente l’Italia.